Tutti contro Silk Street
La notizia è fresca: le maggiori firme della moda mondiale, da Prada a Louis Vuitton, hanno fatto causa alla proprietà di Silk Street, il grande magazzino di Pechino inaugurato da un qualche anno e subito diventato una meta irrinunciabile per i turisti che vogliono portare a casa, al costo di pochi euro, borse e vestiti griffati dalle grandi marche.
Silk Street è una bellezza. L'esterno, un cubo che lo fa apparire più un complesso direzionale che un grande magazzino, non lascia trasparire cosa assale il visitatore appena vi mette piede. L'interno è un nugolo di box di vendita tutti assolutamente uguali non piu grandi di tre metri per tre e praticamente tutti forniti di tutto. Il turista non ha la minima possibilità di uscire con qualche soldo nel portafoglio, le forze in campo sono soverchianti.
Il mio consiglio è quello di non affrontare Silk Street ancora digiuni di contrattazioni furiose a colpi di calcolatrice ma solo dopo un adeguato allenamento su terreni più comodi. Tutto ha un prezzo, solo che per arrivarci servono quando va bene 10 minuti di urla, sceneggiate, finte arrabbiature da entrambe le parti, abbandoni della scena e clamorosi ritorni. Tutto ovviamente da condursi con lo spirito giusto. Se non ritenete di essere la persona adatta per tirare sui prezzi, Silk Street non fa per voi (e forse nemmeno il resto della Cina...), ma se lo prendete per quello che è, ovvero un gioco delle parti, vi ritroverete con il vostro bel paio di jeans pagato pochi euro e con il venditore soddisfatto per essere comunque riuscito a sfilarvi qualche euro in più del suo ultimo prezzo. In fondo il mercante è lui...
Tornando alla notizia principale, ovvero alle ire dei big brands internazionali contro Silk Street, preso evidentemente a simbolo del taroccamento cinese, devo dire che la mia simpatia, come si sarà intuito, va tutta ai piccoli negozianti cinesi. Una polo prodotta in Cina, magari solo confezionata in Francia o con i bottoni attaccati in Italia, venduta a 80 - 100 euro a fronte di un costo orario per l'operaio cinese inferiore al mezzo euro all'ora mi sembra moralmente più ingiusto della commercializzazione delle imitazioni a qualche euro.
O No?
Silk Street è una bellezza. L'esterno, un cubo che lo fa apparire più un complesso direzionale che un grande magazzino, non lascia trasparire cosa assale il visitatore appena vi mette piede. L'interno è un nugolo di box di vendita tutti assolutamente uguali non piu grandi di tre metri per tre e praticamente tutti forniti di tutto. Il turista non ha la minima possibilità di uscire con qualche soldo nel portafoglio, le forze in campo sono soverchianti.
Il mio consiglio è quello di non affrontare Silk Street ancora digiuni di contrattazioni furiose a colpi di calcolatrice ma solo dopo un adeguato allenamento su terreni più comodi. Tutto ha un prezzo, solo che per arrivarci servono quando va bene 10 minuti di urla, sceneggiate, finte arrabbiature da entrambe le parti, abbandoni della scena e clamorosi ritorni. Tutto ovviamente da condursi con lo spirito giusto. Se non ritenete di essere la persona adatta per tirare sui prezzi, Silk Street non fa per voi (e forse nemmeno il resto della Cina...), ma se lo prendete per quello che è, ovvero un gioco delle parti, vi ritroverete con il vostro bel paio di jeans pagato pochi euro e con il venditore soddisfatto per essere comunque riuscito a sfilarvi qualche euro in più del suo ultimo prezzo. In fondo il mercante è lui...
Tornando alla notizia principale, ovvero alle ire dei big brands internazionali contro Silk Street, preso evidentemente a simbolo del taroccamento cinese, devo dire che la mia simpatia, come si sarà intuito, va tutta ai piccoli negozianti cinesi. Una polo prodotta in Cina, magari solo confezionata in Francia o con i bottoni attaccati in Italia, venduta a 80 - 100 euro a fronte di un costo orario per l'operaio cinese inferiore al mezzo euro all'ora mi sembra moralmente più ingiusto della commercializzazione delle imitazioni a qualche euro.
O No?
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